Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Maria Ceolin
(Padova), Membro Ordnario della Società Psicoanalitica Italiana, Segretaria Scientifica del Centro Veneto di Psicoanalisi.
Per chi partecipa per la prima volta ricordo che i Colloqui di Venezia hanno inizio, per desiderio di Giorgio Sacerdoti, solo qualche anno dopo la fondazione del Centro Veneto, avvenuta nel 1980. Nascono, quindi, all’interno del clima caldo, amichevole, intimo, perfino spensierato, che nelle parole di Carla Rufina Zennaro, altra socia fondatrice, colorava le riunioni degli inizi … si svolgevano, a turno, nelle case di ognuno, i soci erano pochi, senza sede, sparpagliati per il triveneto ma uniti dalla comune passione per la psicoanalisi e per la ricerca condivisa.
Fin dall’inizio e nella loro tradizione, accanto ad una rigorosa riflessione scientifica sulla teoria e sulla tecnica psicoanalitica, vive nei Colloqui la spinta ad aprirsi ad altre epistemologie – filosofiche, letterarie, artistiche – nella convinzione, in continuità con il movimento psicoanalitico delle origini, che alla psicoanalisi spetti anche farsi responsabile della ricaduta del pensiero nella cultura, nella storia, nella struttura della società; prendersi cura, con il proprio metodo, anche delle sorti del mondo.
Questa è rimasta, nel tempo, la caratteristica fondamentale di questi incontri che da allora, si sono succeduti con la cadenza, più o meno quadriennale, dell’avvicendarsi degli esecutivi del Centro Veneto.
La parola colloquio racchiude nella sua radice -’parlare insieme’- la tessitura in forma di dialogo di un pensiero non affermativo ma interrogante, che ama inoltrarsi nelle pieghe dei concetti, nei chiaroscuri, talvolta contraddittori e sempre in divenire, dei temi affrontati.
Primo tema, nel 1988: La seduzione. Essa viene analizzata nel suo duplice statuto, il suo etimo, ‘condurre a parte’, sviare, richiama i rapporti di forza a lei sottesi (viene, a tal proposito, ricordato che anche gli psicoanalisti sono seducibili e influenzabili dalle ideologie correnti, anche se generalmente poco inclini a riconoscersi tali), ma essa è anche la modalità di incontro tra due persone più imprevista e imprevedibile, la più carica di mistero, perché confronto tra due immaginari.
In questo senso mi piace pensare che la seduzione, come spinta alla vita, fantasia, desiderio, possa aver costituito la premessa, lo sfondo, per i Colloqui successivi, che senza perderla di vista e con lo sguardo sempre rivolto alle vicissitudini del presente, hanno interloquito sui grandi temi teorico-clinici della psicoanalisi: ne cito alcuni: ‘differenza, indifferenza, differimento’, ‘coazione a ripetere e ripetizioni trasformative’, ‘le metamorfosi della pulsione’, e ancora …
Il IV Colloquio, è il primo senza Giorgio Sacerdoti che sarà ricordato con commozione e nostalgia con un tema a lui molto caro: Verità storica e psicoanalisi.
Mentre in quello successivo: ‘Le fonti dello psichico’, dedicato ad Agostino Racalbuto sarà ripercorso il suo pensiero intorno all’originario, agli affetti-sensazione, al maschile e femminile, alla possibilità di un nuovo inizio… e messa in luce la sua speciale capacità di, creare congiungimenti lavorando sulle differenze e sui conflitti (La Scala, 6, 2009), vivendo nei territori limite dello psichismo, ‘lungo il border’, come il titolo di un suo lavoro.
Ultimo prima di questo, Percorsi dall’oggetto al soggetto nel tempo della cura, del 2020, unico purtroppo on line causa pandemia.
E l’esperienza della pandemia è senz’altro ispiratrice anche dei temi di oggi, mossi da quanto di pericolosamente distruttivo abbiamo visto accadere negli ultimi anni come movimenti emergenti di massa. Un’esperienza che ha coinvolto l’intera terra e ha rappresentato per ognuno una inaspettata, traumatica perdita della sicurezza di base, delle ‘certezze’, seguita senza soluzione di continuità, da una guerra in Europa, il risvegliarsi della minaccia nucleare, l’impensabile crudeltà che circonda i movimenti migratori, un allarme climatico che non si lascia più mettere da parte.
Nel Colloquio del 1993, focalizzato sulla dialettica tolleranza intolleranza, veniva riaffermato che il grado di tolleranza di ciò che è intollerabile ha a che fare con la quota di «violenza» che, soggettivamente, ognuno può integrare nel proprio funzionamento psichico; con il limite oltre il quale tale funzionamento non può accettare una verità «altra» e la disconosce.
Sotto un cielo di incerto futuro come vola la speranza? e l’illusione di poter scrivere il proprio destino e, anche un po’ quello del mondo? cosa succede ai processi difensivi se, in un’atmosfera di vulnerabilità diffusa, si propagano in fenomeni di massa?
Se nella vita individuale diniego e percezione quasi non possono non camminare insieme, e il primo permette quel grado di illusione necessaria al funzionamento psichico nell’impatto con la durezza del reale, rendendolo addirittura più brillante (brillantezza sospetta, però che già Helene Deutsch (1933) vedeva correre verso una cronica ipomaniacalità), altrettanto appaiati camminano diniego e indifferenza.
Non a caso Freud lo nomina inizialmente a proposito dei meccanismi in gioco nella perversione (1924, 1927).
Mentre la negazione dice: vorrei che non fosse lasciando aperti i giochi con ciò che è rimosso che, anche se non accettato, viene riconosciuto, il diniego esclama: Questo non esiste! a costo di scindere l’Io pur di evitare il conflitto.
Porto le parole di due pensatori non psicoanalisti:
Stanley Cohen, cresciuto in Sudafrica, quando da piccolo poneva domande sulle situazioni di discriminazione a cui assisteva, si sentiva dire che era un bambino ‘troppo sensibile’, così cominciò a chiedersi: ma i miei genitori vedono quello che vedo io e non ne sono toccati? o lo credono giusto? oppure percepiscono altro?
Da sociologo, nel suo dettagliato studio ’Stati di negazione’, ha costruito una ’sociologia del diniego’ che vede nel suo ‘mancato riconoscimento’ la prima radice, la più profonda, dell’immoralità collettiva. In modo speculare, Freud aveva individuato la fonte di tutte le motivazioni morali nell’originario riconoscimento, nell’intendersi.
Le figure del diniego scientemente praticato dai poteri costituiti appaiono così variegate e persuasive da risultare di difficilissimo riconoscimento ed elaborazione. Dal negazionismo assoluto, al giustificazionismo, agli eufemismi mistificanti di errate nominazioni, al discredito … la lettura della realtà tendenziosa, ingannatrice che forniscono, si diffonde nella sensibilità delle persone non nella forma brutale della menzogna ma, in modo più sotterraneo, suscitando alterazioni identitarie: deresponsabilizzazione, appiattimento emotivo, l’impoverimento del proprio essere nel mondo di chi non sa, o si finge di non sapere.
Diniego di massa e decadenza dell’umano, già a iniziare dal secondo dopoguerra sono stati preconizzati da Gunther Anders che, con estremo rigore e tenacia,[1] ha analizzato la condizione umana all’epoca della terza rivoluzione industriale in cui l’umanità diviene in grado di produrre la propria distruzione (1992, 13).
Egli si riferiva allora soprattutto alla bomba atomica, potremmo oggi mettere in fila vari altri modi di autodistruggerci, molti riconducibili allo scellerato sfruttamento della terra del nostro scellerato antroprocentrismo…
La discrepanza tra la smisurata potenza della tecnica, nuovo soggetto della storia, e il decadimento dell’uomo, asservito ai suoi dispositivi, troppo “antiquato” per comprendere appieno quello che gli sta accadendo, disegna un tempo di ‘avanzante individualismo senza individuo’, declassato al rango di spettatore, di esemplare anonimo ‘fungibile e sostituibile’ (Adorno, 1970, 327), che, con ridotta autonomia e capacità di giudizio, è portato a funzionare secondo il principio d’inerzia che mira ad evacuare le cariche e abbattere le tensioni interne al punto zero.
Questa passivizzazione – scrive Anders – procede tuttavia in modo talmente naturale che […] siamo persino defraudati della libertà di avvertire la perdita della nostra libertà (1992, 234). Non viviamo nell’‘epoca dell’angoscia’, piuttosto ‘dell’incapacità di provare angoscia’ (2003, 248), nell’epoca della minimizzazione.
Di fronte all’imprevedibile dismisura di ciò che si realizza e perpetra, si è creata una frattura nell’umanità: a paragone di ciò che sappiamo e che possiamo produrre, possiamo immaginare e sentire troppo poco … nel sentire siamo inferiori a noi stessi (ibidem., 253).
Per contrastare questa perdita di vita psichica Anders propone ‘esercizi di estensione morale’ (ibid., 257). É necessario allargare il sentire, anche la paura se adeguata al pericolo, si tratta di ‘imparare ad avere paura’ […] per essere liberi; o semplicemente per sopravvivere (2003, 250). Il coraggio di avere paura, anzi il dovere di avere paura,[2] può riconsegnarci, infatti, alla libertà di riconoscere la nostra illibertà e di pensare alla liberazione.
Come recita un aforisma di Stanislaw Lec: quando la paura è pallida ha bisogno di sangue (2012, 134).
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[1] E per questo il suo pensiero è stato spesso rigettato come troppo pessimista e ‘difficile da sopportare’.
[2]Senza bisogno, secondo Anders, di appellarsi alla speranza ma alla responsabilità.
Bibliografia
Adorno T. (1966). Dialettica negativa. Torino, Einaudi, 1970.
Anders G. (1956). L’uomo è antiquato, I. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale. Torino, Boringhieri, 2003.
Anders G. (1980). L’uomo è antiquato, II. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale. Torino, Boringhieri, 1992.
Cohen S. (2001). Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea. Roma, Carocci, 2002.
Deutsch H. (1933). Zur Psychologie der manisch-depressiven Zustande Insbesondere der chronischen Hypomanie, Int. Z. Psychoanal., 19. Contributi alla psicologia degli stati maniaco depressivi, specialmente della ipomania cronica. Wiesbaden XII congresso.
Eigen M. (1985). Toward Bion’s starting point: between catastrophe and faith. Int. J. Phsycho-Anal., 66, 321-330.
Freud S. (1925). Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica dei sessi. O.S.F., 10.
Freud S. (1927). Feticismo. O.S.F., 10.
Lec S. (1977). Pensieri spettinati. Milano, Bompiani, 2012.
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