Es e caos

di Renato Ferraro

(Vicenza) Membro Associato della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi.

Il paziente X, un giorno, nel bel mezzo della seduta mi pone questa domanda: “Ma quello che viene chiamato Es ha un senso?”. Poco prima aveva accennato ad un’altra questione, che sembrava essere strettamente attinente alla sua domanda: “Che dire dell’Inconscio? Ho letto che molti psicoanalisti dicono che l’inconscio non ha senso”. Mi sono limitato ad ascoltare quello che mi stava dicendo, senza dare una risposta, fiducioso in qualche modo che di lì a non molto il paziente da solo sarebbe arrivato a darsi una prima risposta. 

In realtà intuivo che le questioni che stava ponendo avevano tutte un sapore intellettuale e che in fondo il tentativo che stava mettendo in atto attraverso esse gli consentiva di allontanarsi dall’impatto che avevano su di lui certe fantasie, di cui per questione di privacy qui non faccio cenno, che stava portando in analisi e rispetto alle quali il paziente stesso provava un forte smarrimento e disorientamento, proprio per la dura e cruda realtà psichica che gli stavano rivelando.

Era pur vero che, da una parte, mi sentivo di capire la perplessità che lo aveva colto nel riferirle, proprio per la violenza del loro contenuto che irrompeva nella sua mente, mai prima avvicinato, ma ora emergente grazie al processo analitico.

Quello che soprattutto mi comunicava era una sensazione che si poteva descrivere come un vissuto straripante di caos interiore.

Ma nel percepire questo, con l’intento di rendergli più sopportabile ciò che lo stava mettendo così a dura prova, mi venne spontaneo chiedere al paziente: “È mai possibile cercare e ritrovare nel caos che sente un pur minimo cenno di senso?”.

Mi domandavo, cioè, se era mai possibile transitare momentaneamente con il paziente attraverso ciò che sembrava apparentemente così informe, come lui stesso descriveva, per poter arrivare a qualcosa che potesse via via acquisire un senso e una forma. 

Mi era venuto a questo punto in soccorso quello che Platone ci dice nella sua opera del Timeo, a proposito della terra informe che è presente alle origini.

Abbiamo buoni motivi di pensare che Freud dovesse conoscere il pensiero di Platone e che le idee del filosofo abbiano stimolato in lui un certo interesse, fornendo ottimi spunti per la sua ricerca metapsicologica. In breve, occorre ricordare che nel Timeo Platone cerca di spiegare l’origine del cosmo, come esso alle origini appare come qualcosa di informe in cui è presente un miscuglio degli elementi originari (acqua, terra, aria, fuoco) dal quale prende via via forma e struttura qualcosa di più organizzato e definito.

Secondo Platone tutto questo non avviene a caso, ma è guidato dall’opera del demiurgo. La figura del demiurgo nasce appunto per capire il rapporto fra idee e cose; il demiurgo non sarebbe altro che una sorta di divino artefice e plasmatore.

Ci sarebbero due specie di realtà: essere e divenire. E due specie di conoscenza: intelligenza e opinione. Tutto ciò che nasce ha una causa ed è opera di un demiurgo che si ispira all’una e all’altra specie di realtà come modello. Il grande filosofo ravvisa cioè un’azione coordinatrice del demiurgo nella creazione del cosmo (comprendente non solo il mondo vegetale e animale, ma anche l’uomo). L’uomo, come essere vivente, fornito di anima, intelligente, è generato dalla provvidenza divina. Il vivente in sé è inteso come modello che contiene in sé stesso le forme o essenza di tutti gli esseri viventi.

Può essere breve il passo da Platone a Freud. Come non pensare a questo punto all’Es? Tornando quindi al nostro paziente, dirò ora qualcosa che si richiama al Timeo platonico. Dopo aver inizialmente condiviso il senso di disorientamento e di sconcertante caos che il paziente mi comunicava, venendo a contatto con fantasie mai prima contemplate, potevo iniziare a mettere insieme i frammenti che mi portava e svolgere quell’opera lenta e graduale di integrazione, quella stessa che, nel Timeo, il filosofo attribuisce all’azione del demiurgo. Ma, calandoci nella realtà psichica di ogni individuo, mi viene da chiedere a chi potrebbe essere attribuita l’azione del demiurgo? La sua opera di mettere ordine al caos delle idee, delle passioni, delle sensazioni che irrompono inaspettatamente nella sua mente? Il demiurgo invocato da Platone non abita forse in ognuno di noi? [Qui è immediato il riferimento alla funzione che svolge l’oggetto]. Di tutto ciò, che a nostra insaputa abita in noi, era stato dato del resto ampio risalto da Freud, il quale mutuava dal lavoro di Groddeck sull’Es quanto segue: “Ciò che chiamiamo il nostro Io si comporta nella vita in modo esclusivamente passivo, e che per usare la sua espressione noi veniamo vissuti da forze ignote e incontrollabili”.  Ma è nella sua opera L’Io e l’Es che Freud valorizza appieno la funzione generativa e creativa dell’Es nella strutturazione di ogni individuo quando afferma che “L’Io si forma in gran parte mediante identificazioni, le quali prendono il posto di investimenti che l’Es ha abbandonato, che le prime identificazioni si configurano invariabilmente come una particolare istanza che, all’interno dell’Io, si contrappone come Super-Io allo stesso Io”.

Ma cosa succede se le cose non procedono in questo modo? Se l’oggetto non svolge questa azione di integrazione, chi potrebbe svolgere in sua vece questa opera di integrazione? È immediato pensare alla funzione dell’analista che può svolgere in via transitoria questa azione, aiutando il paziente ad integrare via via questa funzione che possa mettere ordine all’inevitabile caos che accompagna l’esperienza primaria dell’esistenza.

Venendo a noi, ripensando alle fasi precoci dello sviluppo dell’individuo, la clinica ci insegna che l’esperienza con l’oggetto primario è di cruciale importanza perché il bambino sperimenti il senso di essere vivo nel mondo, quell’esperienza ineffabile che dà senso e valore alla propria esistenza. Ma l’“essere” che rimane un imprescindibile fondamento della propria esistenza deve trovare una sua piena espressione nella vita reale, deve aprire in qualche modo la strada ad una pari fondamentale necessità del divenire dell’esperienza. Possiamo chiederci a questo punto se, rispetto ad una siffatta prospettiva di sviluppo, non si possa chiamare in causa nell’esperienza del bambino la funzione paterna, funzione che viene ad accoppiarsi con quella materna che aveva originariamente sancito nel bambino un senso primario di esistenza. Ecco che allora l’azione del demiurgo nel Timeo platonico può essere contestualizzata all’interno delle vicissitudini relazionali di ogni individuo. Ora il paziente fa qui la sua parte verso la fine della seduta, quando riferisce di aver pubblicato sul suo profilo Istagram un passo del canto VI del Purgatorio di Dante. Sembra, infatti, che l’inconscio del paziente si apra ad un disvelamento per prendere in qualche modo forma e senso. Vi si può scorgere tra le righe del canto un possibile riferimento o quantomeno un’allusione alle qualità dell’essere e del divenire prima enunciate. L’essere potrebbe avere a che fare con l’identificazione, il divenire con la possibilità di modificare ciò che potrebbe apparire immutabile. Nel passo riportato, infatti, l’Italia è paragonata ad una donna sola, abbandonata, vedova (le è morto il compagno). Questa donna invoca l’intervento dell’imperatore “che mi accompagni”, cioè che venga in aiuto e soccorso.

Sulla scorta di quanto stava emergendo in analisi, ho buoni motivi per pensare che il paziente mi stia dicendo che è lui l’Italia abbandonata e sola, in preda alla confusione e al disorientamento, allo spadroneggiare dei “signori interni” (le pulsioni parziali). Ella invoca l’intervento dell’imperatore perché possa mettere ordine in tutta questa confusione (caos), che cioè porti l’ordine paterno, ciò che al paziente manca, così costretto a subire la presenza inglobante e annichilente dello strapotere materno.

Come su accennavo, qui entra di fatto in gioco la funzione dell’analista che si assume un compito pieno di responsabilità, ma anche di fiduciosa aspettativa e che, attraverso la partecipazione viva e appassionata della sua persona, può mettere in moto e promuovere quella trasformazione che consente di facilitare il passaggio dall’essere al divenire, l’assunzione cioè da parte del paziente di un suo personale e autentico progetto di vita.  

 

Bibliografia

Freud S. (1922). L’Io e l’Es. OSF, 9.

Groddeck G. (1961) Il libro dell’Es. Milano, Adelphi, 1990.

Platone. Il Timeo, ovvero Della natura. Milano, A. Mondadori, 2008.

Renato Ferraro, Vicenza

Centro Veneto di Psicoanalisi

renatof28@libero.it

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