Rileggendo “Discussione sugli scopi della Guerra” di D.W. Winnicott

di Patrizia Montagner

(Portogruaro, Venezia), Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi.

Poco dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, in un piccolo gruppo di Psicoanaliste*[1] ci siamo incontrate per leggere e discutere insieme il testo di Winnicott “Discussione sugli scopi della guerra” del 1940.

Dopo il primo incontro, sentendo la necessità di comprendere il momento storico dal quale nasceva il testo e quali significati ulteriori il lavoro potesse veicolare, se collocato all’interno di esso, abbiamo invitato a discutere con noi Roul Pupo, già docente di Storia Contempornea all’Università di Trieste. Con lui abbiamo ripercorso il pensiero di Winnicott.

Si è trattato di una operazione per così dire a rovescio: siamo abituati ad ascoltare gli storici e poi a commentare le loro affermazioni, utilizzando lo strumento della lettura psicoanalitica sul significato latente, costruendo, a partire da esso, delle ipotesi sui meccanismi psichici e sui processi implicati.

Stavolta abbiamo fatto il contrario: era uno storico a commentare uno psicoanalista.

 Ci è parso che quanto veniva detto da Pupo non soltanto non contraddicesse Winnicott, ma ci aiutasse a fare luce su quali complessi meccanismi siano in atto in tutti, anche negli psicoanalisti, all’inizio di una guerra, in cui l’intensità della risposta emotiva ad un evento enorme e potenzialmente portatore di morte, si presenta nella realtà condivisa.

Nelle pagine che seguono ospitiamo, dunque, il contributo dello storico, Raoul Pupo, che esamina dal suo punto di vista, il lavoro di Winnicott del 1940 sugli scopi della guerra.

Facciamo precedere il commento di Pupo da una breve sintesi del lavoro di Winnicott, al cui testo completo rimandiamo il lettore, per favorire la comprensione del lavoro successivo.

 

Winnicott D.W. (1940), “Discussione sugli scopi della guerra”, in “Dal luogo delle origini”, Milano, R. Cortina, 1990, pp. 223-235.

Questo lavoro di Winnicott stupisce per la chiarezza e la determinazione con la quale lo psicoanalista inglese mette in luce i meccanismi inconsci, così poco nobili e umanitari, che sottendono azioni, come l’entrata in guerra, giustificate invece da dichiarazioni di ideale e di principi superiori. Sembra qui che Winnicott abbia già accolto la disillusione sul comportamento umano, quando invece anni prima, all’inizio della prima guerra mondiale, Freud aveva dichiarato la sua delusione per lo scoppio della guerra (1915),

  1. esordisce dicendo che la motivazione per cui l’Inghilterra entra in guerra è quella di “Non essere sterminati o resi schiavi. Si lotta per esistere” (223), dunque per il potere. Non è una motivazione che implica chissà quali ideali e l’autore afferma che “siamo soltanto un poco migliori dei nemici”. In tal senso riconosce che uno dei meccanismi più rapidi da mettere in atto nei momenti di conflitto è quello della proiezione della “cattiveria” sull’altro, ma lo psicoanalista sa che “il modo migliore di vedere i propri aspetti spiacevoli è quello di vederli negli altri” (225) L’essere migliori in senso psicoanalitico può soltanto significare che, riconosciuto il fatto della somiglianza con il nemico, e la nostra come l’altrui avidità, la diversità può venire soltanto dallo stadio emozionale, più o meno maturo, che l’insieme degli individui di uno Stato ha raggiunto.

Rispetto alla libertà, che è sentita come un ideale che sottende la necessità della guerra, egli afferma che “il piacere della libertà riguarda soltanto gli intervalli che si susseguono ai periodi di eccitazione corporea”. Dunque la guerra soddisfa idee di crudeltà e di schiavitù legate all’eccitazione sessuale, “sostituti dell’esperienza sessuale” (228)

 In questo Winnicott segue le orme di Freud che afferma che “la più profonda essenza degli uomini è costituita da moti pulsionali elementari, comuni a tutti” (129) e che nel carteggio con Einstein del 1932 scrive che l’essere umano ha “piacere di aggredire e distruggere” e non c’è “speranza di poter sopprimere le inclinazioni aggressive degli uomini (301). Perciò non stupisce che uomini civilizzati lascino le loro idee e si comportino “in modo irragionevole e come degli imbecilli” (135).  E “lo Stato in guerra ritiene per sé lecite ingiustizie e violenze che disonorerebbero l’individuo”.

Le riflessioni sulla libertà di Winnicott sono davvero inquietanti, ci mettono davanti alle manchevolezze, ai limiti, ai desideri inconsci dell’uomo, così diversi da ciò che viene proclamato nel discorso cosciente. Egli afferma che “la libertà stanca”, che “è fonte di tensione sulla personalità globale” a causa della responsabilità che implica e del fatto che l’uomo libero non può proiettare all’esterno i suoi sentimenti di avidità, la cattiveria, la collera ecc., deve rendere conto alla propria coscienza. Perciò, paradossalmente “l’essere comandato arreca all’uomo grande sollievo”. Il cedere la responsabilità ad un capo idealizzato tuttavia è un impoverimento della personalità. Dunque, la guerra “non solo ci concede un sollievo temporaneo dalla tensione di essere liberi, ma dà ai dittatori la loro piccola opportunità” (231).

Naturalmente, osserva Winnicott, tutto ciò non dura e il desiderio di libertà torna a farsi sentire e anche la forza di combattere per essa si ritrova.

Sembra dire, è per questo che ora si decide di combattere, per una libertà che si teme di perdere? O gli scopi sono altri? Prima di tutto la sopravvivenza.  “Quando dobbiamo formulare un’affermazione sugli scopi della guerra – egli afferma – possiamo solo essere sicuri di una cosa: per sopravvivere dobbiamo essere disposti a morire” e il primo scopo di questa guerra è la vittoria. Deve essere una vittoria armata, perché dopo una vittoria sulla carta, una pace artificiosa, senza che la supremazia militare sia stabilita senza ombra di dubbio, l’effetto sarebbe quello di rafforzare il vissuto di colpa insito nella guerra.

Questo è intollerabile, e porterebbe ad una ripresa della guerra in un momento successivo.

 


NOTE

[1] Antonella Antonini, Ambra Cusin e Patrizia Montagner.

Bibliografia

Freud S. (1915). Considerazioni attuali sulla guerra e la morte. OSF. Vol. VIII.

Freud S. (1932). Perché la Guerra? Carteggio con Einstein. OSF. Vol. XI.  

Winnicott D.W. (1986). Dal luogo delle origini. Raffaello Cortina. Milano 1990.

Patrizia Montagner, Portogruaro (Ve)

Centro Veneto di Psicoanalisi

patmontagner28@gmail.com

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