Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Silvia Mondini
“Tutto porta a credere che esista un punto dello spirito da cui la vita e la morte,
il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile,
l’alto e il basso cessano di essere percepiti come contradditori”
Breton, Secondo manifesto del Surrealismo,1930, p.64)
Palazzo Franchetti ospita dal 5 novembre 2022 al 10 aprile 2023 la mostra dedicata ai due grandi protagonisti del surrealismo fotografico, Lee Miller (New York, 1907- Gran Bretagna,1977) e Emmanuel Radnitzky (Filadelfia, 1890 – Parigi, 1976), meglio conosciuto come Man-Ray. Visitarla significa ripercorrere alcune delle molteplici sfaccettature del loro legame ma anche, e direi soprattutto, tuffarsi in un contesto artistico-culturale irripetibile per riemergerne affascinati, quasi stregati, dal carisma di Lee e dalla sua vita così ricca di avvenimenti straordinari apparentemente legati al caso; un caso che, sin dall’inizio, intreccia un’indiscutibile bellezza con un “esterno” traumatico ma anche ricco di ghiotte occasioni. A svelarlo sono le stesse note biografiche che, se lette o ascoltate tramite audioguida, mostrano il limite di dire troppo, di incuriosire, stimolando una riflessione sul rapporto tra trauma, “destino” e creatività prima ancora che sulle doti artistiche di Lee. Doti che, peraltro, furono per lungo tempo adombrate dalla figura di Man Ray di cui – dal 1929 al 1932 – fu allieva, modella e compagna ma anche dal suo stesso rifuggire qualsiasi definizione che la imbrigliasse in un ruolo.
Modella, fotografa, musa, icona del Novecento, corrispondente di guerra, in ogni caso donna di grande fascino, Lee Elisabeth Miller, per gran parte della sua esistenza, dà prova di aver ricevuto in dono la possibilità di sedurre chi vuole e la sorte di trovarsi sempre nel luogo e nel momento in cui accadono le cose. E la mostra, forse al di là delle stesse intenzioni dei curatori, appare strutturata come un omaggio alla sua capacità di cogliere, al di là del bene e del male, l’occasione che le si offre, a farla sua, nel perenne afflato a trovare all’esterno uno stimolo sempre nuovo o un oggetto che contenga il dolore. Un omaggio, dunque, alla femme fatal prima ancora che all’artista e alla fotografa di moda e dell’orrore dei campi di concentramento. Ma anche un omaggio al surrealismo e a quel principio di piacere (Freud,1911; 1922) che proprio nel comportamento di Lee Miller trova una delle migliori espressioni/personificazioni: l’onnipotenza del desiderio e la liceità della sua realizzazione, la legge del tutto e subito nonché la capacità di cogliere il lato misterioso della vita quotidiana trasformandola in sogno.
L’esposizione, curata dalla storica dell’arte Victoria Noel-Johnson e corredata di note biografiche fornite dai Lee Miller Archives, si articola secondo un percorso cronologico e tematico che pur lasciando spazio alle produzioni di entrambi e ai reciproci rimandi racconta, di fatto, la storia di Lee Miller anche attraverso il rapporto con Man Ray; una corposissima collezione di foto, alcuni oggetti d’arte e qualche video d’epoca per ripercorrere mezzo secolo di vita nonchè di storia del Novecento – dal periodo d’oro del surrealismo sino al 1975 – passando attraverso il racconto della passione tra i due artisti, i ritratti agli amici (Max Ernst, Picasso, De Chirico, Jean Cocteau, Dalì, Eluard, Breton Lenora Carrington, Dora Maar ) per giungere, infine, alla tragedia della seconda guerra mondiale. Una tragedia che Lee accoglie, forse addirittura ricerca, dalla quale sicuramente non fugge e che, comunque, darà inizio a quella discesa negli inferi da cui era riuscita a tenersi sufficientemente lontana.
“Sembravo un angelo di fuori. Mi vedevano così. Ero un demonio, invece, dentro. Ho conosciuto tutto il dolore del mondo fin da bambina” (Lee Miller, Lee Miller Archives).
Ed è proprio mentre si percorre la prima sezione della mostra, quella interamente dedicata a Lee nella veste di modella e musa degli anni Venti, che si corre il rischio di incuriosirsi alla sua vita. Perché è lì, proprio di fronte ad alcuni splendidi ritratti e ad uno dei più iconici scatti dell’epoca (I Tuffatori di George Hoyningen-Huene, 1930), che si può avere occasione di appassionarsi alle sue vicende.
Si apprende così[1], la fonte è la biografia scritta dal figlio Antony Penrose, che Lee incontrò ben presto il trauma – quello della violazione dei confini prima e della perdita poi – ma ebbe la fortuna di poter contare su un ambiente familiare disponibile a qualsiasi concessione, intemperanze comprese, pur di lenire le sue ferite. E che lei – vuoi per indole, vuoi per effetto del trauma, vuoi per l’eccessiva indulgenza dei genitori – rifiutò qualsiasi tentativo di porle dei limiti preferendo rincorrere il proprio sogno di ribellione e libertà. Ma si racconta anche di “quel fatale incontro” che impose una nuova direzione alla sua vita: New York 1927, Lee Miller sta per essere travolta da un’auto in corsa ma un passante l’afferra giusto in tempo per evitare il peggio. Quella stessa distrazione che avrebbe potuto condurla alla morte dà inizio ad una sfolgorante carriera di modella per Vogue perché quell’uomo è Condè Nast, il re delle riviste illustrate.
“La psiche è estesa, di questo non sa nulla” scrive Freud nel 1938; formulazione enigmatica che ben si presta a descrivere quel meccanismo centrifugo che anziché riportare quel che accade a sé, al proprio inconscio, lo getta all’esterno in quell’area che può essere pensata come impersonale (nel senso di nostro/non nostro) territorio del destino (Balsamo, 2001) e/o come spazio che accoglie qualcosa di attinente all’ ES, alle forze dell’inconscio dell’Es che – come scrive Semi, 2009 – può presentare un confine mancante che è quello con la realtà esterna. Ed è proprio questa assenza di confine tra l’Es e la realtà esterno che fa sì che l’individuo risulti “non solo incompleto, non solo fratturato o scisso ma anche indefinito” (Semi, 2009, p.45)
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[1] A sette anni Lee è vittima di una violenza sessuale di cui non si conoscono le circostanze e i dettagli ma, a seguito della quale contrarrà la gonorrea. Appena adolescente, durante una gita in barca, perde il suo primo amore. “Le cicatrici lasciate da questi due eventi accompagneranno Lee fino alla tomba” (A. Penrose, 2022, p.16)
Il destino – scrive Balsamo, 2001 – non può essere ridotto unicamente né al determinismo inconscio nè alla necessaria presenza della coazione a ripetere poiché la “casualità”, ovvero, “il fatto stesso di vivere come scrive Freud nel 1913” (p.515) può assumere al suo interno un valore rilevante. Per tale ragione diviene possibile pensare che, talora, possa essere condizione necessaria (e sufficiente) la presenza di un “evento unico, irripetibile, il segno della svolta che trasforma, per l’appunto, la vita in destino” (ibid, p. 516). In tal senso il destino si collocherebbe nell’articolazione tra pulsione e oggetto.
Ma se la componente casuale del destino può assumere la forma dell’evento unico e irripetibile, nel caso di Lee Miller osserviamo il misterioso ripetersi di un “qualcosa” che le consente di trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto (l’incontro con Man Ray, le amicizie con i surrealisti, gli amori, le occasioni professionali) fino alla più tragica delle circostanze che segnerà l’inizio della sua discesa.
Germania 1945, molti anni sono trascorsi dall’incontro che ha decretato il suo ingresso nel mondo della moda e dell’arte, tante sono state le occasioni che questo ambiente le ha offerto, altrettante le prove che lei ha saputo dare della sua capacità di usare al meglio (e non solo per il suo piacere) queste stesse occasioni. A trentotto anni, Lee Miller, è un’artista capace di fondere con eleganza le influenze surrealiste con le esperienze acquisite davanti l’obiettivo come modella e dietro l’obiettivo come fotografa di moda, ritrattista dell’elite e, infine, come reporter di guerra, ruolo che le viene conferito dall’esercito americano nel 1942 mentre lavora per Vogue.
La guerra e il pericolo, al pari di un impeto surrealista, sembrano averle dato la spinta che le consente di integrare le sue “molte vite” in un’unica attività riuscendo così ad avvicinare vittime e feriti con coinvolgimento emotivo e grande sensibilità. Questo lascerà tracce indelebili sul suo volto.
La “sua guerra” ci regala foto indimenticabili scattate negli ospedali da campo nel corso dello sbarco in Normandia (estate 1944), durante l’incontro tra l’Armata Russa e l’esercito americano a Torgau (25 aprile del 1945) e infine, per uno “scherzo del destino”, sull’orrore dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald.
“Vi prego di credere che è tutto vero”, è questa l’implorazione che accompagna le immagini dell’orrore scattate il 30 aprile 1945. Quel giorno, grazie ad un’informazione ricevuta da un ex collaboratore di Life, Dick Pollard, Lee è la prima ad entrare nel campo di concentramento di Dachau appena liberato. Con lei, come sempre in questi anni di guerra, c’è l’amato collega David Sherman. Intorno a loro un indicibile fetore e montagne di corpi scheletrici senza nome né dignità.
“La sua prima reazione è di totale incredulità. Inebetita e senza parole, all’inizio non riesce a capacitarsi di quella smisurata carneficina, di quell’insensato massacro. (Penrose, 2022, p.179)
Nella notte seguente, Lee e Dave, trovano alloggio in un posto di comando della 45 divisione, un vecchio edificio che si rivela poi essere stata la casa di Hitler. Un ambiente banale in cui il Furer ha conferito con tutti i potenti del momento e in cui non c’è alcuna traccia dell’orrore compiuto. Qui, insieme a David Sherman, realizza uno scatto iconico del surrealismo secondo Lee Miller.
Un’immagine potente che svela il bisogno di togliersi di dosso/ripulirsi dagli orrori appena attraversati con un gesto rivoluzionario, immergendosi nella vasca appartenuta a colui che li aveva decretati. Una linea virtuale unisce il ritratto di Hitler posto sulla parete che delimita posteriormente la vasca da bagno e la statuetta classica collocata quasi in primo piano; lungo questa linea lo sguardo del Fuhrer e quello della statua simbolo della purezza ariana sembrano incrociarsi in un punto che potrebbe includere Lee. Lei però guarda altrove, si disloca, rispondendo ancora una volta a quella forza che le consente di continuare a vivere nonostante l’orrore appena incontrato.
“Sono passati più di settanta anni – scrive Serena Dandini nel 2021– eppure questa fotografia, scavalca il tempo e le ideologie e può ancora raccontarci qualcosa di prezioso sulla forza eversiva della libertà d’espressione” (p.10). Su quella forza che ha animato Lee per gran parte della sua vita ma che, d’ora in avanti, comincerà ad affievolirsi pian piano ma inesorabilmente.
L’artista – scrive Breton nei Vasi comunicanti – è colui che “sa fondere l’azione al sogno”, “confondere l’interno con l’esterno”, “trattenere l’eterno nell’istante”, “trovare il generale nel particolare”. Ma cosa succede quando, per un “fatale incontro”, l’interno e l’esterno, l’istante e il “senza tempo”, si sovrappongono sino a coincidere? Che cosa accade se l’”esterno” perde la funzione di fornire oggetti capaci di tenere a bada il dolore? Non è forse questa la circostanza in cui l’”interno” – la realtà psichica – chiede di essere ascoltata?
Nel 1947, dopo aver vinto temporaneamente una grave crisi depressiva, si sposa con Roland Penrose e, nello stesso anno, nasce l’unico figlio Antony. Nonostante le alterne vicende che caratterizzeranno il loro rapporto i due rimarranno insieme per tutta la vita. Anche il rapporto con Man Ray, svanite le turbolenze dell’antica passione, avrà lo stesso destino.
Bibliografia
Balsamo M. (2001). Nevrosi di destino. Rivista di Psicoanalisi, vol. 3, 513-529. Borla, Roma.
Breton A. (1930). Secondo manifesto del surrealismo. In Manifesti del Surrealismo. Einaudi, Torino, 2003.
Dandini S. (2020). La vasca del Fuhrer. Einaudi, Torino.
Freud S. (1911). Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico. OSF, Vol.6. Bollati Boringhieri, Torino
Freud S. (1922). L’Io e L’Es. OSF, Vol.9, Bollati Boringhieri, Torino.
Freud S. (1938). Risultati, idee, problemi. OSF, Vol. 11, Bollati Boringhieri, Torino.
Penrose A. (2022). Le molte vite di Lee Miller. Contrasto, R
Semi A.A (2009). L’inconscio e i limiti dell’individuo. Rivista di Psicoanalisi. 55, 29-46.
Silvia Mondini, Padova
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