Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Patrizia Montagner
Il 10 Novembre 2009 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama la giornata del 18 Luglio Nelson Mandela International Day.
Lo fa con tre precise motivazioni nelle quali riconosce:
-la sua lunga battaglia per la liberazione e l’Unità dell’Africa, e il suo contributo alla creazione di un Sudafrica non razzista, non sessista e democratico.
-il valore di Mandela per il suo essersi dedicato alla risoluzione dei conflitti, al rispetto e alla promozione dei diritti umani e alla riconciliazione
– il contributo di Mandela alla lotta in favore della democrazia internazionale e per la pace nel mondo.
Dal 2015 il Mandela Day diviene anche il giorno in cui si ricordano le “Nelson Mandela Rules” dedicate agli standard minimi che dovrebbero essere rispettati nelle carceri .
Chi era Nelson Mandela?
Primo Presidente nero del Sudafrica , figura storica di importanza internazionale, ha avuto una vita ricca di avvenimenti eccezionali. Nasce da una famiglia di stirpe reale, rifiuta di restare nella sua tribù e non vuole esserne successore, se ne va in città, studia legge ed inizia a combattere legalmente contro l’apartheid . Ha una prima condanna per aver partecipato a delle dimostrazioni sociali, e poi nel 1964 viene condannato a vita in quanto riconosciuto colpevole di aver usato la violenza nelle sue azioni politiche come appartenente al partito dell’African National Congress.
Uscirà da questo carcere durissimo, scontato in una cella di Robben Isle, dopo 26 anni , nei quali continua ad essere un riferimento per la lotta all’apartheid e per la demoscrazia.
l 2 febbraio 1990, dopo anni di trattative, il presidente appena entrato in carica, Frederik W. De Klerk, annuncia la revoca dell’apartheid e la liberazione di Mandela.
Nel 1993 sia Mandela che De Klerk vengono insigniti del Premio Nobel per la Pace. Dopo anni di trattative, percorrendo la strada della cooperazione non violenta , nel 1994 in Sudafrica viene concesso il suffragio universale e Mandela viene eletto democraticamente primo presidente.
Quando muore all’età di 95 anni, il 5 dicembre 2013, la sua perdita è sentita come un grande dolore sia dai bianchi che dai neri.
Che cosa ha reso Mandela così grande?
Provo a dare una ipotesi di risposta guardando alla sua vita e soprattutto rileggendo due suoi discorsi importanti: quello del 1964, ( il discorso di Rivonia) lungo 4 ore, in cui si difende da sè dall’accusa di essere un sobillatore della lotta armata e racconta la sua vita di militante e le sue idee, e poi quello del 1994 in occasione del suo insediamento.
Credo sia stata la sua enorme capacità di contenere e lavorare all’interno delle situazioni di conflitto a farne un uomo straordinario: Mandela mostra una lungimiranza che lo aiuta a comprendere come i primi anni dell’apartheid, quelli successivi della lotta contro di esso e anche quelli del dopo apartheid siano periodi di grande rischio di GUERRA CIVILE. Egli attua dentro di sé un continuo lavoro di passaggio da una posizione che nel linguaggio Kleiniano chiamiamo schizoparanoide, riconoscendo con forza i torti e le malvagità dei suoi oppositori e delle leggi razziali, ed una depressiva, in cui riesce a tenere a mente dentro di sé anche gli aspetti aggressivi , violenti e distruttivi, propri e del proprio partito, e se ne prende la responsabilità. E’ capace di far dialogare prima certamente in se stesso e poi all’esterno, in ambito sociale, queste due realtà contrastanti.
Un grande esempio è stata la famosa squadra degli “springbock” di Rugby in cui “Madiba” è stato capace di far giocare insieme bianchi e neri del suo Sudafrica, ascoltando le ragioni degli uni e degli altri, usando lo sport come luogo di confronto e di continua mediazione. La vittoria finale della squadra, ricordata nel film “Invictus” di Clint Eastwood, rappresenta un riuscito momento di mediazione e di condivisione della gioia.
Che cosa ha consentito a Mandela di reggere tanti anni di detenzione e di estrema privazione delle libertà fondamentali, al limite della sopravvivenza?
Questo è l’aspetto di lui che certamente affascina più di ogni altro. Ci si chiede come sia possibile tollerare per anni ed anni, precisamente 26, (Mandela esce dal carcere ormai vecchio, quando ha 72 anni) vivere in una cella di 2metri x 2, passare la giornata a spaccare pietre, in totale isolamento, senza libri e senza contatti diretti con l’esterno. Eppure è riuscito a mantenere un contatto con se stesso, con i propri ideali e un ruolo di riferimento nella battaglia per i diritti dei neri.
Nel discorso di Rivonia, Mandela dice.” ho fatto quello che ho fatto (…) spinto dalla mia esperienza in Sudafrica e dalle mie radici africane di cui vado fiero” (Mandela 2013 Pag. 19) E aggiunge “(….)Da ragazzo, nel Transkei, ascoltavo gli anziani della mia tribù parlare dei tempi passati. Tra le storie che mi raccontavano c’erano quelle delle guerre che i nostri antenati avevano combattuto per difendere la madrepatria. (…) Allora speravo che la vita concedesse anche a me l’opportunità di servire il mio popolo e di dare il mio umile contributo alla lotta per la liberazione. E’ stato questo a motivare tutte le azioni di cui oggi questa corte mi accusa” (Ibidem Pag.19). Dunque possiamo ipotizzare che l’eredità della sua tribù, che Mandela ha apparentemente abbandonato, andandosene e rifiutando di svolgere quel ruolo regale che gli spettava in essa , è tuttavia rimasta come un imperativo morale ed etico che ha allargato a tutta la sua vita, e che sembra essere stato uno dei pilastri che lo ha sostenuto nel travagliato percorso . Un sogno di ragazzo, nato nel luogo di origine, e mantenuto vivo nel corso della vita.
Certo, si trattava di una persona con una eccezionale forza interiore, che ha conferito una autorità e un carisma regale a ciò che diceva e faceva. Come se quel re, che non è stato nella sua tribù, sia diventato un personaggio regale nel Sudafrica.
Il dispiacere, il senso di perdita irreparabile e di lutto, che si sono respirati in Sudafrica alla sua morte, e che erano diffusi a tutti gli strati della popolazione e a tutte le etnie del paese, ben si addice ad una figura regale.
Silvia Amati Sas (2020) afferma che anche nelle situazioni di peggiore disalienazione, come nelle lunghe prigionie e nelle torture, ciò che ha consentito alla persona di mantenere viva la speranza è stato l’attaccamento con un “oggetto da salvare”. Nei suoi lavori, in cui parla delle vittime di tortura Amati Sas fa riferimento soprattutto ad un oggetto interno costituito da una persona amata e lontana per La quale è importante restare vivi. Possiamo ipotizzare che per Mandela sia successo qualcosa di analogo, che la motivazione alla conservazione della sua forza interiore, di una speranza mai , apparentemente, abbandonata sia stata rappresentata dal tenere vivi gli ideali di libertà e uguaglianza di diritti che gli avevamo comunicato i suoi antenati? Quindi che in qualche modo, gli oggetti da mantenere vivi fossero proprio i suoi antenati , nel modo in cui Mandela li aveva vissuti e amati, combattenti per la libertà.
Nel discorso per il suo insediamento c’è qualcos’altro che egli dice e che può rafforzare questa ipotesi. Egli riafferma il suo legame con l’Africa ” Questa comunione spirituale e fisica che tutti noi avvertiamo con la nostra madrepatria spiega il profondo dolore che gravava sui nostri cuori nel vedere il paese lacerato da un terribile conflitto, nel saperlo disprezzato, messo al bando, ed emarginato dai popoli del mondo, e questo perché era diventato il fondamento universale della ideologia e della pratica perniciose del razzismo e dell’oppressione razziale”(ibid. Pag.91)
Come a dire che la sua terra, una madre così amata, era diventata per lui una figura per cui provava dolore nel vederla “violentata” , ma forse, potremmo immaginare , anche vergogna e umiliazione. Riecheggia qui la risoluzione dell’Onu del 1973, in cui l’apartheid viene riconosciuto “crimine contro l’Umanità” e per questo il Sudafrica sottoposto a sanzioni e allontanamento internazionali.
E di seguito Mandela aggiunge: “ Noi, popolo del Sudafrica, che fino a poco tempo fa vivevamo nella illegalità, siamo felici di essere stati riaccolti in seno all’umanità.”(Ib. p. 91)
La gioia è quella di essere tornati a far parte della grande famiglia degli esseri umani, in quanto capaci nuovamente di riconoscere e rispettare le leggi ( lui era un avvocato) che regolano la partecipazione all’UMANITA’.
Umanità, possiamo immaginare, che aveva respirato nella sua tribù da bambino, amato, rispettato, e sognato come”grande” e di cui aveva mantenuto vivo il sogno.
Bibliografia
Amati Sas S. Ambiguità, conformismo e adattamento alla violenza sociale. Franco Angeli 2020
Mandela N. (1964- 1994) Sono pronto a morire . Lo storico discorso di Rivonia. La Repubblica- L’Espresso 2013
Segal A. Introduzione all’opera di Melanie Klein. Martinelli e C. 1975
Film. Invictus. Regia Clint Eastwood 2009
Patrizia Montagner, Portogruaro (Ve)
Centro Veneto di Psicoanalisi
Membro del SAPI South African Psychoanalytical Initiative
Condividi questa pagina:
Centro Veneto di Psicoanalisi
Vicolo dei Conti 14
35122 Padova
Tel. 049 659711
P.I. 03323130280