“La mia amata Kharkiv sulla via della distruzione totale, come Grozny e Aleppo”.

Il racconto di uno psicoanalista ucraino sotto le bombe

Intervista a  Igor Romanov di Aljoša Fonda 

Articolo pubblicato il 5 marzo 2022 in lingua slovena dal quotidiano Primorski dnevnik di Trieste.
Foto scattata da Igor Romanov
Foto scattata da Igor Romanov

Intervista con lo psicoanalista ucraino Igor Romanov, rifugiatosi con la sua famiglia in una cantina nella città di Sumy.

SUMY – Lo psicoanalista Igor Romanov è di Kharkov (o Kharkiv), la seconda città ucraina, che in questi giorni a causa dei bombardamenti russi si sta trasformando in una metropoli fantasma disseminata di macerie. Professore di Psicologia all’Università di Kharkov e membro del direttivo della Società Psicoanalitica Ucraina, allo scoppio della guerra si è rifugiato con la sua famiglia nella cittadina di Sumy, dove la situazione però è peggiorata proprio dopo il nostro colloquio.

Abbiamo dialogato con lui per posta elettronica giovedì 3 marzo, di pomeriggio. Per farci capire meglio il contesto, ci ha inviato alcune foto scattate col suo telefono: una casa bombardata in fiamme vicino a casa sua a Kharkov e il suo figlioletto seduto e assonnato in cantina, con su di sé una giacca a vento e una coperta.

 

– Prof. Romanov, per favore, descriva la sua posizione attuale e cosa sta succedendo intorno a lei.

– Giovedì 24 febbraio, a Kharkov, siamo stati svegliati alla mattina presto dal fragore dei bombardamenti. Subito abbiamo deciso di scappare a Sumy, una città più piccola che dista circa 200 chilometri da Kharkov, vicino al confine russo. Non sono sicuro che sia stata la decisione giusta. Quì possiamo usare la casa dei nostri amici che ha una grande cantina dove ci possiamo nascondere dalle bombe. Pensavamo che questa città non fosse troppo attrattiva per l’esercito russo.

Per ora la situazione qui è più calma che a Kharkov. Due o tre volte al giorno suona l’allarme e ci nascondiamo, la città è circondata dai russi. Gli scontri, però, si svolgono soprattutto nei villaggi più vicini. Le truppe russe principalmente aggirano la città e avanzano verso Kiev.

A Kharkov, la mia amata città natale dove si trovano gli amici, gli studenti e i pazienti, c’è l’inferno. I russi stanno distruggendo il centro storico e le zone residenziali, la gente passa la notte nel sottosuolo, mancano medicine, cibo e acqua… Non è ancora Grozny o Aleppo (le città cecena e siriana che sono state completamente distrutte dall’esercito russo rispettivamente nel 2000 e nel 2016, N.d.R.), ma si sta andando in quella direzione.

Noi da qui cerchiamo di aiutare le persone a fuggire da Kharkov – colleghi, studenti e altri. Molti stanno scappando nell’Ucraina occidentale o all’estero. Sono rimasti uccisi uno studente straniero e diversi professori della mia università. A Kharkov sono già morti circa trecento civili (il bilancio si sarebbe poi notevolmente aggravato, N.d.R.).

 

– Si legge del bombardamento di scuole, università, della cattedrale. Per i media non è sempre facile verificare, perché a Kharkov è molto pericoloso.

– Ho le foto di tre case distrutte a soli 500 metri dal nostro appartamento. Diverse persone sono morte lì. Non è difficile da verificare. Noi lo guardiamo dal vivo, attraverso lo streaming di amici e conoscenti…

 

– Avete intenzione di fuggire altrove?

– Avevamo i biglietti per la Turchia, ma la guerra ci ha sbarrato la strada. Vorrei portare la mia famiglia al sicuro e tornare da solo. Ma da Sumy questo è impossibile.

 

Kharkov è una città dove si parla prevalentemente la lingua russa, eppure si sta difendendo ostinatamente dall’invasione. Qual’era l’atteggiamento generale della popolazione nei confronti del governo ucraino e della Russia prima di questa guerra?

– È difficile rispondere. Kharkov è una grande città di 1,7 milioni di abitanti, il 10 per cento sono studenti provenienti da luoghi molto diversi. Ora c’erano anche dai 300 ai 500 mila rifugiati dalle regioni di Donetsk e Lugansk. Solo i sociologi potrebbero vedere il quadro completo dell’opinione pubblica in città.

Io, da accademico e psicoanalista, vivo in una bolla di intellettuali. Negli ultimi anni questi erano tutti per l’Ucraina. Penso che questa posizione ora andrà a rafforzarsi ulteriormente. La solidarietà reciproca è enorme, così come l’odio per l’invasione russa. Presumo che le opinioni filo-russe moderate scompariranno, avremo una forte maggioranza filo-ucraina e, diciamo, un 15 per cento disposti a collaborare con i russi.

La posizione più difficile, però, sarà quella di chi è moderatamente orientato verso la Russia perché legato a quella cultura.  E’ il gruppo a cui appartenevo anch’io.

 

– Che tipo di conseguenze traumatiche porterà questa guerra?

– Il trauma è ora il tema principale del nostro lavoro. Lo noto nei miei pazienti (con cui sto comunicando principalmente on-line) e durante la supervisione di colleghi russi e bielorussi. L’intero quadro lo vedremo solo più tardi: il desiderio di vendetta tra gli ucraini, un enorme senso di vergogna e di colpa tra i russi (molti di loro vogliono emigrare, si teme anche una guerra civile a causa della spaccatura nella società russa).

Comune a tutti è il totale collasso delle capacità psichiche di elaborare e superare la dolorosa esperienza, quindi una sensazione di impotenza. Tutti abbiamo bisogno del supporto di amici e alleati, che è il mezzo migliore per superare il trauma.

 

La vostra Società di psicoanalisi ha inviato una lettera aperta ai colleghi dell’Occidente in cui chiedete aiuto e li avvertite di non cadere preda della propaganda del Cremlino. L’Europa è stata travolta da un’ondata di solidarietà, ma alcuni continuano a incolpare più la NATO e l’Ucraina dello stesso Putin. Cosa direbbe a loro?

– Sto notando questa grande solidarietà e ne sono grato. Spero sinceramente che molti dei miei colleghi in Occidente aprano gli occhi, se fino a questo momento sono stati ciechi, per via di una certa ideologia di sinistra e di un invidioso antiamericanismo. Questo li ha resi molto sensibili alla propaganda di Putin.

La NATO non ha mai minacciato la Russia e Putin questo lo capisce molto meglio di alcuni europei di sinistra. Lui utilizza miti russi e occidentali per rafforzare il proprio potere e le proprie ambizioni che hanno travalicato la normalità psichica. La passività occidentale – Melanie Klein l’aveva chiamata “il complesso di Monaco” (basato sulla Conferenza di Monaco del 1938, con cui Hitler si appropriò dei Sudeti senza che l’Europa reagisse, N.d.R.) – e l’agitazione imperialista russa hanno alimentato insieme questo mostro.

 

Ringraziamo la redazione di Primorski dnevnik e Aljoša Fonda per aver concesso la pubblicazione di questa intervista

Aggiornamento 1: La sera del 4 marzo a Sumy la situazione è peggiorata. Il prof. Romanov ha fotografato col suo telefono attraverso la finestra le vicine case distrutte dalle fiamme, inviandocene poi la foto. Le comunicazioni sono state a lungo interrotte. 120 carri armati russi si stavano dirigendo verso la città.

 

Aggiornamento 2: Il 7 marzo, mattina, i russi offrono un corridoio umanitario, ma verso la Russia. “Che bel regalo,” commenta ironico Romanov che attende la possibilità di portare la famiglia a ovest e da lì all’estero.

 

Aggiornamento 3: La sera del 7 marzo è iniziato un pesante bombardamento aereo sulla città. Secondo la BBC sarebbero state distrutte diverse case, i morti sarebbero nove, tra loro due bambini.

 

Aggiornamento 4: L’8 marzo mattina le forze russe e ucraine si accordano per permettere di evacuare i civili dalla città in direzione sud, verso Poltava. Lo stesso giorno vediamo alla televisione la cittadina di Sumy completamente distrutta.

Romanov e la sua famiglia riescono a fuggire in tempo. Il 9 marzo Scrive: “siamo riusciti uscire da Sumy. Adesso siamo a XXXX. Quanto poco è necessario per provare contentezza: la sicurezza e il comfort di un ostello. Ci prepariamo a muoverci avanti verso il confine. Alla fin fine mi accingo a mandare la moglie e mio figlio oltre il confine. A me non faranno uscire.”

 

 


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