1921-1932-1937

di Patrizio Campanile

1921-1932-1937: sono gli anni di pubblicazione di tre saggi di Freud che proverei a legare con un ragionamento per rispondere ad un interrogativo.

Prima di formularlo, una considerazione.

Un testo può essere esplorato scoprendone ricchezza e ricavandone stimoli fruttuosi, come si scava una miniera esplorandola e prendendo in mano ogni singolo elemento per veder bene di cosa è fatto; oppure, ma non in alternativa, lo si può rileggere collocandolo nel percorso intellettuale dell’Autore, riconoscendo allora ciò che lo lega ai lavori precedenti e quanto costituisce un passaggio per sviluppi successivi. Quanto le due letture possano integrarsi ben lo si vede considerando la tematica dell’identificazione che nel saggio del 1921 ha una definizione fondamentale e che, al tempo stesso, porterà un importante contributo, di lì a poco, alla formulazione della teoria strutturale. Penso però, soprattutto, al percorso che Freud sta facendo e che si concluderà solo nel 1929 con Il disagio della civiltà per arrivare a mettere a punto in modo definitivo la sua teoria della genesi del Super-io e delle forze che la determinano e che ne delineano le caratteristiche. E’ il filo rosso che legando Psicologia delle masse e analisi dell’Io e Il disagio della civiltà arriva all’uomo Mosè e la religione monoteistica e che era partito da Totem e tabù. E’ all’interno di questo tracciato che ritengo vadano letti la sua teoria sull’orda primitiva, il rapporto che essa intrattiene con la massa e la riflessione sulla religione intesa come istituzione e sistema di regole e precetti; tutto porta elementi alla teoria della nascita del Super-io all’interno dell’orizzonte edipico. Tutto serve, o almeno a me sembra servire, per arrivare all’obiettivo.

La mia rilettura del testo del 1921 è stata quindi parte di uno zigzagare tra scritti di Freud di varie epoche. Un andirivieni che mi ha stimolato diverse curiosità. Su una ho deciso di soffermarmi.

La formulo come un interrogativo: che rapporto si può individuare tra quanto Freud dice nel saggio del 1921 e ciò che dice nell’ultimo paragrafo di Analisi terminabile e interminabile? O, meglio, come potrebbero essere articolate le due argomentazioni la cui apparente discordanza, nel corso dell’andirivieni, mi aveva a tutta prima colpito?

Spiego gli elementi della questione.

In Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Freud descrive il rapporto che lega l’individuo al capo di una massa (psicologica) non occasionale: attraverso – dice – l’identificazione col capo, in quanto sostituto paterno, che a sua volta può essere simbolicamente rappresentato da un’idea o un’astrazione, cioè da un ideale, il singolo individuo configura il proprio Io. Attraverso l’identificazione con gli altri membri della massa ugualmente identificati con il capo e quindi identificati tra loro, l’individuo in quanto tale si perde nella massa, fino ad annullarsi come individuo. 

L’abbassamento del singolo a individuo massificato (305), dice ancora Freud, comporta una progressiva regressione dell’attività psichica (305) che esita in mancanza di libertà, di autonomia e di iniziativa. Queste sono le possibili conseguenze che egli descrive. 

In tali casi l’Io non crea un legame oggettuale, ma regredisce all’incorporazione e l’oggetto incorporato diviene il suo ideale. L’Io risulta dominato dall’ideale che si impossessa della funzione di esame di realtà. Può, allora, anche dar sfogo, senza pregiudizio, a crudeltà e intolleranza, ricavandone anzi una sensazione di trionfo: una volta confluiti insieme l’Io e l’ideale dell’Io, si genera in questi casi uno stato d’animo di trionfo e di contentezza di sé non turbato da alcuna autocritica fino al punto che la persona può rallegrarsi della mancanza di inibizioni, riguardi e auto-rimproveri (319).

Freud non si esprime in questi termini, ma credo si possa ben dire che in tali circostanze si verifichi un drammatico coincidere di Io, ideale dell’Io e Io ideale; o, meglio che si dia una regressione dell’Io e dell’ideale dell’Io con una progressiva coincidenza dell’Io con la struttura arcaica dell’Io ideale. Ciò dà la dimensione del pericolo che si ha quando l’oggetto arriva a divorare l’Io (301) e l’Io si rende disponibile ad assecondare la propria scomparsa.

Questa la spiegazione che dà Freud di tali fenomeni: la massa viene evidentemente tenuta insieme da qualche forza. A quale forza potremmo attribuire meglio questa funzione se non a Eros, che tiene unite le cose del mondo? […] Se nella massa il singolo rinuncia al proprio peculiare modo di essere e si lascia suggestionare dagli altri, ciò avviene […] perché vi è in lui un bisogno di stare in armonia con gli altri anziché contrapporsi ad essi (282).

Vediamo bene, per come sono descritti i possibili esiti di questa tendenza, ma non è Freud a sottolinearlo in questo saggio, quanto possa essere anche, sottolineo anche, pericolosa per l’individuo la forza di Eros. E’ quanto risulta chiaro dalla lettura dei suoi lavori degli anni successivi. A darne la possibilità, sarà lo sviluppo ulteriore delle concezioni sul dualismo pulsionale che aveva appena introdotto nel saggio dell’anno precedente a quello che stiamo rileggendo: Al di là del principio di piacere

Percorrendo Psicologia delle masse e analisi dell’Io, la mia impressione è sempre stata che Freud, pur citando la nuova teoria pulsionale, non l’abbia messa all’opera fino in fondo per sviluppare le tematiche che qui viene ad esplorare. Penso a due possibili motivi: le difficoltà che l’aver introdotto la concettualizzazione pulsione di vita-pulsione di morte ha subito incontrato nell’ambiente psicoanalitico e che può averlo indotto da un lato alla cautela, dall’altro a enfatizzare le sue stesse incertezze. Dubbi ed incertezze che con decisione arriverà a superare nel momento in cui scriverà Il disagio della civiltà. La seconda congettura è che, messa a punto la teoria pulsionale (1920), a Freud prema tradurla nella nuova concettualizzazione strutturale tant’è che nel ’22 pubblica L’Io e l’Es. Psicologia delle masse e analisi dell’Io è un anello intermedio per arrivare alla seconda topica, ma, dal mio punto di vista, è un patrimonio che non solo aiuta a fare il passo successivo, quello del ’22, ma che è lì per essere messo a frutto fino in fondo nella stesura de Il disagio della civiltà quando allora l’ultima teoria pulsionale si è ben solidificata e Freud non dubita più del suo valore.

Vengo al paragrafo 8, l’ultimo, di Analisi terminabile e interminabile (1937) e al modo in cui sono portato a leggerlo per poi arrivare alle considerazioni che volevo proporre. Il discorso che vi fa Freud è molto specifico: a conclusione del saggio, in cui illustra le ragioni per le quali non dobbiamo sottovalutare i limiti della psicoanalisi, introduce l’idea di una roccia basilare, riconducibile alla nostra costituzione biologica che resiste e si oppone al buon esito dei trattamenti analitici, e non solo ad essi, evidentemente. E’ un saggio che Freud scrive, come è stato da varie parti sottolineato, a fronte dell’ottimismo che gli sembrava potesse prevalere nel movimento psicoanalitico, soprattutto per la fiducia riposta dai colleghi suoi contemporanei nel potere delle interpretazioni. Propone allora Analisi terminabile e interminabile e poco dopo Costruzioni in analisi ove, in polemica con l’uso prevalente dell’interpretazione, sottolinea l’importanza del lavoro di costruzione e ricostruzione.

Il primo dei due saggi ruota attorno, seppur non unicamente, alla illustrazione del limite che impone la pulsione di morte al buon esito dei trattamenti. Non la nomina, ma si può ritenere che anche l’ostacolo di cui parla nel paragrafo 8 sia con essa in qualche modo implicato. Freud descrive infatti una resistenza che fa sì che tutto rimanga com’era anche a costo dell’infelicità. L’uomo, dice Freud, si ribella alla passività nel rapporto con l’altro uomo: mosso dall’angoscia di evirazione non vuole avere obblighi di riconoscenza verso di lui. A sua volta, la donna, per effetto dell’invidia del pene oppone l’intimo convincimento che la cura analitica non servirà a nulla e non potrà mai aiutarla. Per entrambi prevarrebbe cioè, a suo avviso, il rifiuto della femminilità.

Freud considera la differenza maschile-femminile oscura e troppo dipendente dalle convenzioni e dagli ordinamenti sociali, ma per quanto insoddisfatto distingue maschile e femminile riconoscendo che tutto ciò che è forte e attivo lo chiamiamo maschile, tutto ciò che è debole e passivo femminile. Senza addentrarmi nella questione che rimane di difficile e controversa definizione, vorrei unicamente segnalare quella che, dicevo, a tutta prima appare come una contraddizione: l’essere umano per un verso è ben disposto a sottomettersi, per un altro si ribella al potere esercitato su di lui anche a costo dell’infelicità.

Aggiungo, ma anche in questo caso non mi soffermo, che il brano di Analisi terminabile e interminabile può essere indicativo di un ostacolo che Freud descrive nell’orizzonte genitale. Una difficoltà che, pensando al percorso che precede l’orizzonte genitale, potrebbe invece essere concepita come una serie di modi di opporsi che hanno alla loro origine un radicale rifiuto dell’alterità che all’Io si impone dall’esterno e che, mettendone in pericolo l’autonomia, obbliga l’individuo a misurarsi col limite.

Ripensando allora ai due testi, quello del ’21 e quello del ’37, son portato a ritenerli indicativi di un conflitto: vi sono descritte, cioè, due polarità che rappresentano gli elementi di un conflitto, anzi del conflitto che occupa una posizione centrale nelle vicende degli esseri umani e che sta alla base di molte problematiche che osserviamo nella clinica.

Per chiarire questo punto di vista, trovo utile attingere a Perché la guerra? e cioè al saggio del 1932 ove troviamo l’ultima delle coppie da lui introdotte nel corso degli anni per spiegare le spinte che presiedono alle nostre esistenze: attrazione e repulsione. Ne parla invero anche nella Lezione XXXII che scrive contemporaneamente; richiamo però il testo che indirizza ad Einstein che lo interrogava sul Perché la guerra? perché chi volesse rileggerlo vi troverebbe ben ripresi e sintetizzati i passaggi che lo hanno portato a formulare l’ultima teoria delle pulsioni e che spiegano questa ultima coppia euristica. Non credo si sia trattato dell’uso di un’espressione di circostanza e cioè legata all’interlocuzione col fisico e quindi ad una semplice allusione alla sua materia. La ritroviamo infatti anche successivamente nel Compendio di psicoanalisi (1938). Questa coppia di forze si aggiunge a unire-disunire, legare-slegare e pulsione di vita-pulsione di morte. Ad esse, dice Freud, è originariamente connessa. Non ritengo però che ad esse, che ho ordinato in modo da richiamare un crescendo di astrazione, Freud la faccia coincidere. La coppia attrazione-repulsione sintetizza il conflitto fondamentale che attraversa le nostre esistenze e di cui ciascuno di noi ha diretta esperienza. La teoria delle pulsioni spiega i motivi di questo ineliminabile conflitto le cui duplici tendenze troviamo descritte nei testi del ’21 e del ’37.

E’ di rilievo, a mio giudizio, il fatto che nel momento in cui Freud fa questo passo verso una maggiore astrazione non si allontana dalla realtà da noi tutti esperibile, anzi ci mette nelle condizioni di ritrovare immediatamente in noi stessi il senso della lotta che lui ha cercato di spiegare con la teoria pulsionale: il giocarci l’esistenza tra l’andare verso l’altro, fino al punto da perdere individualità e separatezza (che è la polarità che vediamo implicata e descritta nel testo del ’21) e ritrarci fino al punto da perdere la capacità di incontrarlo o di consentire la fecondità dell’incontro (questa è invece la polarità che, almeno nella mia lettura, viene segnalata dal testo del ’37).

 

Bibliografia

Freud S. (1012-13). Totem e tabu. O.S.F., 7.

Freud S. (1920). Al di là del principio di piacere. O.S.F., 9.

Freud S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. O.S.F., 9.

Freud S. (1922). L’Io e l’Es. O.S.F., 9.

Freud S. (1932). Perché la guerra? O.S.F., 11.

Freud S. (1937). Analisi terminabile e interminabile. O.S.F., 11.

Freud S. (1937) Costruzioni nell’analisi. O.S.F., 11.

Freud S. (1938). Compendio di psicoanalisi. O.S.F., 11.

 

 

Patrizio Campanile, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

patrizio.campanile@libero.it

 

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