13 marzo 1938
viene sciolta la Società Psicoanalitica di Vienna

di Patrizio Campanile

13 marzo 1938 - viene sciolta la Società Psicoanalitica di Vienna
13 marzo 1938 - viene sciolta la Società Psicoanalitica di Vienna

Il 13 marzo – era domenica – appena decretata da Hitler l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania, si riunisce a casa Freud al numero 19 della Berggasse il Consiglio della Wiener Psychoanalytische Vereinigung, la Società Psicoanalitica di Vienna, da lui fondata nel 1908. Ne viene deciso l’autoscioglimento ed i membri ebrei sono sollecitati a mettersi in salvo al più presto. L’accordo e la promessa reciproca è di riunirla lì dove Freud si trasferirà.

 

Contrario fino alla fine, è però anche per lui una scelta inevitabile. Scriverà successivamente: “A quattro anni giunsi a Vienna da una piccola città della Moravia. Dopo settantotto anni di duro lavoro ho dovuto lasciare la mia patria, ho visto dissolta la società scientifica da me fondata, distrutti i nostri istituti, confiscata la casa editrice dagli invasori, sequestrati o mandati al macero i libri da me pubblicati, i miei figli esclusi dalle loro professioni.” (1938a, 657).

Riparato a Londra, confida allora ad Eitingon (Lettera del 7/6/38): “Tutto appare ancora irreale, come i un sogno. […] Il senso di trionfo per la liberazione è troppo intimamente connesso al dolore, poiché ho sempre profondamente amata la prigione dalla quale mi han fatto uscire […] le aspettative per una vita nuova sono ostacolate dall’incertezza di quanto un cuore affaticato potrà ancora fare il suo lavoro”.

Lì il suo lavoro continua e porta a termine L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi ed il Compendio di psicoanalisi.

Freud muore in esilio a Londra il 23 settembre 1939.

 

***

 

Lo scioglimento della Società Psicoanalitica di Vienna è un evento che ricordo sempre con emozione e commozione e che oggi più che mai, pensando anche ai Colleghi ucraini che sono sotto le bombe, desidero ricordare.

 

Come è noto, da moltissimi anni ormai Freud era ammalato. Il cancro aveva richiesto decine di interventi ed i dolori lo accompagnavano costantemente. Per fortuna la malattia gli stava lasciando un momento di requie e questo gli consentì di affrontare le vicissitudini di quei tristi giorni e la partenza. Non avrebbe voluto lasciare Vienna: si prospettava un viaggio impegnativo per le sue condizioni, c’erano le incognite sul dove andare che si sarebbero risolte solo nei giorni successivi, ma per lui restare era anche restare leale al suo paese. Ad adoperarsi per convincerlo erano in tanti; tra questi Jones, che era volato a Vienna proprio per fargli pressione, e la principessa Bonaparte che ebbe un ruolo fondamentale anche dal punto di vista del sostegno economico. Entrambi riuscirono a mobilitare ambasciatori, funzionari fedeli alla stima che avevano sviluppato per Freud e forse personaggi come Roosevelt e lo stesso Mussolini. A convincerlo fu però il precipitare degli eventi.

 

Già il 12 aveva segnato in Cronaca minima, il suo diario promemoria dove annotava in modo telegrafico piccoli appunti sugli eventi del giorno “Finis Austriae” (627). Era la fine! Il giorno successivo seguiva: “Anschluss alla Germania” (628).

 

In occasione della riunione a casa sua disse: “Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme compiuta da Tito, Rabbi Jochannan ben Sakkai chiese il permesso di aprire una scuola a Jabneh per lo studio della Torah. Noi faremo lo stesso. La nostra storia, la tradizione e per alcuni l’esperienza personale, ci hanno ormai abituati alle persecuzioni” (Jones, 1953, 267.).

 

Nei giorni successivi si andò di male in peggio e presto non vi fu più tempo da perdere.

Il 15 (“Perquisizione alla casa editrice e a casa”) racconta Jones che, appena arrivato a Vienna, si reca al Verlag, la casa editrice psicoanalitica: “Le scale e le stanze erano occupate da giovani di truce aspetto armati di pugnali e pistole; Martin [il figlio di Freud che in quel momento si faceva carico del Verlag] sedeva in un angolo in stato di arresto” (Jones, 1953, 264).

 

Intanto era in corso una perquisizione in casa Freud: “la casa era stata invasa da un’analoga banda” (ibid.). Trafugarono quel po’ di denaro che trovarono in casa. Con un certo imbarazzo giacché Marta, la moglie di Freud, porgendolo si limitò a dire: “Lor signori vogliono servirsi?”. Il racconto di Jones prosegue: “Comparve una figura fragile e triste. Era Freud, richiamato dal rumore. Aveva un suo modo di accigliarsi, con gli occhi dardeggianti, da far invidia a qualsiasi profeta dell’Antico Testamento”. I delinquenti, perché di questo si trattava, ripiegarono, ma la casa fu fatta oggetto di nuova irruzione nei giorni successivi. Riguardo alla situazione generale di quei giorni, riferisce Peter Gay: “Se per molti tedeschi ci sono voluti cinque anni per diventare così fanatici e vendicativi, agli austriaci bastano cinque giorni per mettere in atto questi apprendimenti: Molti tedeschi hanno ceduto sotto l’implacabile bombardamento della propaganda, intimoriti da uno stato esigente, da un partito vigile, da una stampa controllata; molti austriaci non hanno bisogno di tali pressioni. Un comportamento del genere si spiega o si giustifica solo in parte come una sottomissione forzata al terrore nazista. Le folle che saccheggiano gli appartamenti degli ebrei o che terrorizzano i commercianti ebrei non eseguono ordini dall’alto e godono pienamente delle loro azioni” (Gay, 1988, 562). Infatti, come Freud ha sostenuto nel Disagio della civiltà: “l’uomo non è una creatura mansueta”; è caratterizzato da “crudele aggressività”. Essa “rivela nell’uomo una bestia selvaggia, alla quale è estraneo il rispetto per la propria specie”. E ciò fa parte della “natura umana originaria” (1929, 599, 600).

 

In attesa dei visti per uscire dall’Austria e dell’espletamento delle pratiche vessatorie cui sottostare, il giorno 22 la situazione sta per precipitare: “Anna alla Gestapo”.

 

E’ la Gestapo a presentarsi a casa Freud ove viene arrestata Anna. Pare anzi che solo l’insistenza della Principessa che poteva far valere, come dice Gay un passaporto “reale” e certificati medici prontamente messi a disposizione abbiano evitato a Freud di essere anche lui prelevato per un interrogatorio. Dovevano capire, così dissero, se l’associazione svolgeva attività ostile al nazismo. Quel giorno, racconta Max Schur, medico e amico di Freud, “fu il peggiore di tutti. Io andai alla Berggasse e rimasi con Freud. Le ore erano interminabili. Fu l’unica volta in cui vidi Freud al colmo della preoccupazione. Passeggiava e fumava senza posa. Cercai di rassicurarlo come potei. Infine, a tarda sera, Anna tornò. Freud che era sempre stato contenutissimo nelle sue dimostrazioni di affetto, quella sera mostrò tutta la misura dei suoi sentimenti” (434).

 

Ancora Schur: “Quando le cose si misero al peggio e sembrava non vi fosse più nessuna speranza di scampo, Anna chiese a Freud: ‘Non sarebbe meglio se ci uccidessimo? ’, e, col suo caratteristico miscuglio di ironia e di indignazione, Freud replicò: ‘Perché? Per fare proprio quello che piacerebbe a loro?” (436). In realtà “nel corso della primavera, circa cinquecento ebrei austriaci decidono di uccidersi per sfuggire all’umiliazione, all’angoscia intollerabile o alla deportazione nei campi di concentramento” (Gay, 1988, 564).

 

A Freud l’ironia, o meglio il sarcasmo in questo caso, non mancarono fino all’ultimo: prima di lasciarlo partire i nazisti pretendono una dichiarazione che li scagioni da ogni possibile accusa di averlo maltrattato o vessato. Freud firma … ma aggiunge in calce al documento che gli viene presentato una piccola … ma significativa annotazione: “Posso vivamente raccomandare la Gestapo a chicchessia” (Jones, 1953, 271).

 

Nell’attesa della partenza Freud non resta inoperoso: lavora forse ad una iniziale stesura del Compendio di psicoanalisi che poi uscirà postumo ed al Terzo saggio de L’uomo Mosè. Per concluderlo, in questo caso, ha fretta di arrivare in Inghilterra convinto com’è sempre stato, e non certo a torto, che non sia affatto il caso di rendere pubblico, in Austria e per di più nei tempi che corrono, questo testo. Con Anna lavora anche alla traduzione di un testo di Marie Bonaparte, Topsy. Il lavoro termina il 9 aprile: “Topsy è finita”. (634). E’ un dettaglio su cui varrà la pena tornare, eventualmente in un’altra nota.

 

Arriva il 4 giugno e può finalmente mettere se stesso ed un certo numero dei suoi cari in salvo: “Partenza 3.25 Orient Express” (640).

 

Non possono seguirlo le sue quattro vecchie sorelle. Furono uccise cinque anni doppo in campi di concentramento e sterminio.

 

Il 12 maggio scrive a Martin, il figlio che aveva già lasciato Vienna: “Due speranze resistono in questi tempi foschi, quella di vedervi tutti insieme e: ‘to die in freedom’. […]  Non si sa in che misura noi vecchi riusciremo a superare le difficoltà della nuova patria. Dovrai aiutarci in questo. Ma niente ha importanza di fronte alla liberazione” (in: Lettere 1873-1939, 407)

 

 

 

Bibliografia

Freud S. (1929). Il disagio della civiltà. O.S.F., 10.

Freud S. (1929-39). Cronaca minima 1938. Rivista di psicoanalisi. LV,3, 619-661,2009.

Freud S. (1934-38). L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi. O.S.F., 11.

Freud S. (1938a). Antisemitismo in Inghilterra. O.S.F., 11.

Freud S. (1938b). Compendio di psicoanalisi. O.S.F., 11.

Freud S. Eitingon M. (1906-1939). Correspondance 1906-1939.Paris, Hachette Littérature.

Freud S. (1873-1939). Lettere. Torino, Boringhieri.

Freud S., Eitingon M. (2009). Corresppondance 1906-1939. Paris, Hachette. 

Gay P. (1988). Freud. Una vita per i nostri tempi. Milano, Bompiani.

Jones E. (1953). Vita e opere di Freud. Milano, Il Saggiatore, 3 voll., 1962.

Schur M. (1972). Il caso di Freud. Torino, Boringhieri, 1976.

 

 

Patrizio Campanile, Venezia

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